Il museo più affascinante e ripugnante del mondo si trova a Roma, tra Viale Marconi e il Gasometro. E’ la Ex Mira Lanza, una fabbrica di sapone costruita nel 1899 e chiusa nel 1957. Una parte del complesso fu restaurata alla fine degli anni ‘90 e ospita il Teatro India, ma il resto è in stato di totale abbandono. Sessant’anni dopo la chiusura la sua carcassa imponente resiste a ogni genere di vandalismo e oggi è uno scenario post-industriale splendido e infernale, un set spettrale ma vivo per una messa in scena provocatoria e istruttiva. Un tranello per istituzioni e pubblico che lo scorso luglio sono state invitate all’inaugurazione di un nuovo museo che di museo sulla carta aveva tutto, perfino un sito. Uniche avvertenze: niente tacchi, niente bagni e niente negozio. In realtà, se decidete di andarci l’unica cosa che non dovete fare è indossare scarpe delicate: la tenuta ideale è galosce o combat boots che non temono di incontrare sul loro cammino merda e rifiuti di ogni genere. La latrina è ovunque e il negozio, con un po’ di immaginazione, c’è.

L’entrata è in Via Amedeo Avogadro, dietro ai cassonetti, proprio di fronte un orribile albergo nuovo di zecca, uno spreco inaudito di metri cubi in un’area con un patrimonio edilizio così ingente da recuperare. Se non altro quello sgorbio architettonico funziona in negativo per ricordarci ciò che il Museo Ex Mira Lanza non è: un white cube. La presenza di una colonia felina innesca il preallarme olfattivo, ma non lo prepara all’assalto sensoriale che sta per arrivare quando varcate la non-soglia del museo abusivo, dove si entra con un atto illegale di disobbedienza civile.
Costo dell’operazione 23mila euro, tutti a carico di 999Contemproary che il giorno delle dimissioni del sindaco Ignazio Marino stava per firmare con l’assessorato al patrimonio il progetto per la riqualificazione dello spazio. L’intenzione del curatore Stefano Antonelli è di portare qui la sindaca Raggi, dato che la sede del M5S è a pochi passi. Non ci vogliono milioni di euro per rendere lo spazio di nuovo disponibile alla cittadinanza: basta sgombrarlo dai rifiuti, mettere in sicurezza il necessario, trasformarlo in giardini e, nella parte ancora agibile, in studi e residenze per artisti.

Negli anni la ex Mira Lanza è stata occupata, ci hanno vissuto centinaia di persone, fino all’incendio del 2014. Di loro restano montagne di immondizia che l’AMA ha raccolto, insaccato e poi lasciato sul posto, con il risultato che adesso l’immondizia è ancora là, di nuovo sparpagliata ed esala miasmi. La prima “sala”, interamente open air, è stata battezzata Palmira: le travi annerite dall’incendio in parte sono crollate, in parte resistono ancora. Le colonne in mattoni sono in piedi: qui il primo intervento del graffitista Seth è stato colorarle. Il contrasto con il cielo azzurro, i muri di mattoni, e le travi annerite basta a trasformare lo spazio e renderlo bello, quasi gioioso. Nella galleria principale il fetore è acre e tangibile: dietro una griglia metallica appena socchiusa si erge ancora il mucchio di rifiuti in decomposizione, ma per un mese muniti di “scafandri” e maschere antigas, Antonelli e Seth hanno letteralmente spalato merda per consentire all’artista di affrescare la parete di fondo con uno dei suoi bambini. La luce che penetra dall’alto infonde alla creatura accovacciata con la testa nel cielo una qualità metafisica: Lux in tenebris.

E’ un girone dantesco in cui si aggirano esseri viventi perlopiù silenziosi. All’altra estremità della “galleria museale”, infatti, nel frattempo si è installata una famiglia Rom: Tito si divide tra il lavoro di parcheggiatore a Piazzale della Radio e quello di “direttore” fresco di nomina del museo. Lui e la moglie sono le guide e i gestori del “negozio”: da loro potete comprare il libro che racconta questo progetto sensazionale e provocatorio intitolato Range ta chambre (metti a posto la cameretta). Mentre vaghiamo in questo patrimonio di archeologia industriale in rovina, mi chiedo se gli abitanti di questa wasteland non siano anch’essi delle installazioni viventi ad uso dei visitatori. Che cosa dicono le loro presenze alla nostra coscienza, mentre osserviamo un dipinto intitolato Lampedusa? Il deterioramento evidente dei dipinti e del luogo, meno pulito e sistemato già oggi rispetto ai video dell’inaugurazione dello scorso luglio, restituisce una visione accelerata del processo di disfacimento a cui tutto il complesso è sottoposto. E ci invita all’azione.

Julien Seth Malland è nato a Parigi nel 1972. Illustratore e graffitista, ha iniziato a dipingere sui muri del XX arrondissement alla metà degli anni ’90. Diplomatosi alla Ecole Nationale des Arts Décoratifs, dal 2003 inizia a viaggiare e scambiare esperienze con artisti di altri paesi. Crea i suoi personaggi semplici e infantili, li immerge in contesti caotici contemporanei, legati alla tradizione locale, ma realizzati con mezzi moderni. A Roma ha dipinto il Bambino Redentore a Tor Marancia. (sua è anche la foto di copertina)
Buongiorno
i miei complimenti per l’articolo e per avere ridato luce a questo pezzo di archeologia industriale.
siamo un gruppo di fotografi amatoriali e semi-pro e vorremmo visitare questo posto anche per dare un po di risonanza a questo posto. per visitarlo bisogna contattare qualcuno……pagare qualcosa……
grazie per le info e suggerimenti che nelle visite di questi siti e sempre bene avere in anticipo per evitare cattivi e pericolosi incontri
grazie
Salve, Bruno,
in realtà no, come detto nell’articolo l’ingresso è libero. Semmai si può chiedere un “tour” a chi ci vive visto che non tutti i dipinti sono immediatamente visibili, e lasciare un’offerta libera e non obbligatoria. Per altre informazioni si può contattare http://www.999Contemporary.com
Grazie per le belle parole!