Le stiamo infilando una dietro l’altra: Rohani, il Family Day, Padre Pio. Non ce lo deve dire il New York Times che una processione di due salme nel centro di Roma più che medievale è “a bit weird”, un po’ strana. Basta il commento di un adolescente di Bilbao che va a scuola dai gesuiti e che guardando al telegiornale le immagini del Family Day, chiede al padre che hanno quei cattolici da protestare, se Gesù non ha mai detto niente contro i gay. Roma e Bilbao non potrebbero essere più distanti cronologicamente, perché geograficamente invece sono a 1700 km di distanza, praticamente sulla stessa latitudine. Quella di queste ultime settimane sembra in effetti la cronaca di un paese sotto dittatura, fa pensare proprio alla Spagna durante il franchismo. La Spagna, dove i matrimoni civili per le coppie omosessuali esistono dal 3 luglio 2005. Gli spagnoli hanno impiegato trent’anni dalla morte del dittatore per mettersi al passo con gran parte del resto del mondo. Volendo restare nei confini del cattolicesimo europeo, lo hanno fatto perfino prima degli irlandesi, che una dittatura non ce l’hanno mai avuta. Mussolini è morto trent’anni prima di Franco: trenta + trenta fa sessanta, più altri dieci fa 70, che vanno per i 71. Non è curioso che una repubblica governata dal presidente del consiglio più giovane della sua storia sia così oscenamente arretrata, ultima fra gli ultimi? Ricordate lo slogan renziano “L’Italia cambia verso”, in cui L’Italia era scritto al contrario? Ebbene, andava preso alla lettera: procediamo a tutta retromarcia in una farsa grottesca popolata di opere d’arte inscatolate, salme di santi a zonzo per la città e loschi paladini della sacra famiglia.
E’ dall’inizio dell’anno che ragiono per coincidenze e analogie tra quello che accade a me, alla cerchia di persone che ho intorno e nel mondo, e quello che leggo, ascolto, vedo al cinema o sogno la notte. Così, mentre in Italia aspettiamo la votazione sul disegno di legge Cirinnà, a me capita di leggere il primo romanzo di Miranda July, The First Bad Man. Succube anch’io delle etichette di genere (sessuale e letterario), mi aspettavo una storia quirky/stramba e divertente. Mi ritrovo nel mondo di una Amélie distopica in cui le risate sono molto amare, i sentimenti profondi, il dolore pure, i temi forti e tremendamente attuali. Cheryl è una donna di mezz’età che spesso si vede agire come nella scena di un film. Il suo punto forte sono le orecchie, che scopre infilandoci dietro i capelli brizzolati ed entrando negli ambienti affollati camminando in obliquo, mandandole avanti come un biglietto da visita. Cheryl soffre di globus hystericus (ha un perenne groppo in gola) ed è una donna tremendamente sola. Per di più è innamorata da anni di un uomo più anziano di lei che a malapena si accorge della sua esistenza, e quando lo fa è con fini palesemente derisori. Palesemente per tutti, ma non per Cheryl che – diciamolo – non ha una grande capacità di leggere la realtà. Detto in modo spicciolo, Cheryl è molto vicina a essere una disadattata che per non sgretolarsi ha messo a punto un sistema ergonomico in cui, addestrandosi come serva di se stessa, riesce a far girare da solo il suo mondo: la casa in pratica si autopulisce, così che se lei dovesse dare forfait, la sopravvivenza sarebbe in qualche modo assicurata.
In questo microcosmo angosciante e poetico che procede in equilibrio precario sfiorando il patologico e spesso sconfinandovi, avviene che Cheryl si ritrova a essere vittima non solo di derisione da parte di colleghi, capi e di Philip, l’oggetto senile del suo desiderio, ma di vero e proprio bullismo, che si trasforma in qualcos’altro, e poi in altro ancora. Cheryl diventa lei stessa la partner anziana di una coppia improbabile, e in modo assurdo eppure del tutto possibile, realizza il suo desiderio di maternità.
La società che ha intorno, una Los Angeles provinciale, piccolo borghese e bigotta, non le apre le braccia, ma Cheryl va avanti come un tank, con una forza d’animo e una resilienza impressionanti che fanno di lei un’eroina potente e della sua vicenda un esempio di quanto multiforme e anticonformista possa essere oggi la famiglia. Voltando una pagina dopo l’altra e tifando sempre per lei, pensavo a quanto sarebbe non solo appropriato ma utile che il romanzo di Miranda July venisse pubblicato in Italia. Dubito che tra i suoi lettori ce ne sarebbe qualcuno di quelli che dal palco del Circo Massimo ci spiegava come è fatta la vera famiglia, perciò purtroppo nessuno di loro imparerebbe da lei come invece si fanno i figli e come li si cresce nel mondo vero.
E poi, coincidenza nella coincidenza, a un certo punto in The First Bad Man c’è David Bowie, con una canzone-talismano che serve a spezzare una turba compulsiva della protagonista. Direi che le cose che mi stanno a cuore in questo inizio di 2016 ci sono tutte.
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