A rileggere gli scarni appunti di viaggio, sembra che a Riga io abbia sofferto la fame e il freddo in una città immensa e implacabilmente chiusa per solstizio. E’ quasi tutto vero, specialmente la seconda parte. Mentre i lettoni banchettano e si ubriacano in campagna con le loro birre artigianali, io trovo chiuso il Ristorante Valtera, il Caffè Trusis, il Fazenda, il Caffè Osiris, il Folkklub Ala… Cammino e cammino su e giù per strade drittissime e lunghissime che sembrano non finire mai se non a San Pietroburgo.
Durante uno scroscio di pioggia, proprio in direzione della Città delle Notti Bianche, entro nella Cattedrale della Natività di Cristo, la chiesa ortodossa, tanto sfarzosa quanto mesti in confronto sono i suoi fedeli. All’interno non si può fotografare niente. Chiedono soldi per finanziare il restauro di un luogo che è già impeccabile. I sovietici l’avevano adibita a planetarium e ristorante, un destino sempre migliore della Chiesa di San Casimiro a Vilnius, che avevano trasformato in Museo dell’Ateismo.
Dopo km e km alla ricerca di un posto aperto fuori dal centro storico, per la fame nera entro in un bar/forno, Cadets de Gascoigne, “a French place”, mi dice una specie di Amélie alla cassa, gentile e anglofona. Francese perché sfornano croissant, che a loro onore sono molto meglio di quelli al cartoncino Bristol dei bar di Roma.

Anche oggi è giorno di celebrazioni. Stavolta vado a Dzegužkalns Park con il tram numero 5 e scendo a Buļļu Iela. Teoricamente dovrei intervistare Gatis Gaujenieks degli Iļģi, storico gruppo folk lettone, ma lui arriva tardi, poco prima di salire sul palco, e nei giorni successivi resterà bloccato in campagna – dove sicuramente era andato a bere birra e mangiare formaggio al cumino – per un guasto all’auto. Nel frattempo mi appassiono, senza comprendere una sola parola tranne Līgo, līgo… a un gruppo di signore in costume tradizionale che cantano e recitano da circa due ore. Mi sfamo, osservo, fotografo le corone di fiori, poi mi unisco al corteo che dal piccolo anfiteatro sale verso la collina dove si accendono i falò.
Alle dieci è ancora giorno, continua ad arrivare gente con cestini da picnic perché tireranno tardi. Io strato dopo strato indosso tutto quello che avevo messo in valigia, Līgo, līgo… Penso che voglio immergermi in una vasca piena di succo di ribes bollente.
Una cosa che imparo subito ad apprezzare dei lettoni, e che trovo ammirevole oltre che estremamente pratica, è che la gente fa le cose quando bisogna farle senza lamentarsi e recriminare. È il 23 giugno, si celebra il solstizio, si raccolgono le bacche nei boschi anche se piove e ci sono 10 gradi. Si festeggia l’estate punto e basta. Ci sono stati tempi peggiori. È estate, lo dice il calendario: ora o mai più per un altro anno.
Il giorno dopo, tuttavia, la ragazza di una caffetteria mi ha confidato che questo tempo non è normale ed il mese di giugno è stato uno schifo e che sono tutti un po’ depressi.
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