Tutto finisce sempre con un pintxo, ma stavolta comincia con l’aglio. Finora avevo trattato Vitoria come la Cenerentola dei tre capoluoghi baschi. È la capitale, ma solo perché tra Bilbao e San Sebastiàn la moneta non avrebbe mai toccato terra. In questa regione così piccola mi sembra lontana, sperduta, secondaria. Sta nell’entroterra, circondata da un anello verde, ma con un clima tremendo: caldissimo d’estate e freddissimo d’inverno. Arrivo in città come se fosse un giorno qualsiasi, invece è il 25 luglio: El dia del Blusa y de la Neska e della Feira del Ajo. Sono italiana, ma giuro che non avevo mai visto tanti agli nella mia vita. Un intero mercato, bancarella dopo bancarella, di agli ammucchiati, appesi, distesi, intrecciati, cocuzzoli di agli bianchi e rosa a perdita d’occhio, agli in vendita dalla mattina alla sera. Tra i 10 e i 15 euro la treccia, mi chiedo quanti quintali e quante migliaia di euro avranno cambiato casa e tasca.
Da San Sebastiàn l’autobus si è lasciato alle spalle le morbide colline mammellari di infinite tonalità di verde e ha attraversato una pianura agricola, con grandi campi di grano. Entrando in città abbiamo passato una zona industriale, alcune fabbriche e capannoni sembravano dismessi (o erano solo chiusi per ferie?) e le scritte facevano tanto anni ’70. Come quella della Fabbrica dei Sogni, che poi sono i materassi. Adesso attraverso Vitoria, città Verde e Vampire-free, nel giorno che, come scoprirò, è una specie di prova generale della Semana Grande ormai imminente. Le quadriglie di amici in abiti tradizionali scorrazzano per le strade suonando e cantando, ma soprattutto bevendo. Cammino sbigottita per le vie di una città che a prima vista assomiglia a una Tolosa più grande, ma meno pittoresca.
Mentre tutti vanno e vengono dalla Fiera dell’Aglio, io arrivo dall’altra parte della città senza essermi fatta un’idea della sua pianta. Ho bypassato il centro storico, il Casco Viejo, senza essermene accorta. Quando andiamo a mangiare, continuo a sentirmi come una sonda spedita alla cieca all’interno di una montagna cava, in una giornata di caldo torrido.
Pranziamo all’aperto nel corso pedonale della città: Jamòn lucido con tostada e salsa di pomodoro, alla catalana. Una delle tante bellezze del Paese Basco è che non ho mai incontrato una trappola per turisti: il cibo è sempre buono, ottimo o eccellente, dalla trattoria di campagna al bar in città. Passano le ore e Vitoria cambia volto: le strade si riempiono di una folla che cresce come una valanga: i bimbi sono vestiti con le cioce, gli adulti pure, e sotto il sole cocente si passeggia, si suona, si mangia e si beve senza lesinare. I baschi sono famosi per le mangiate e bevute pantagrueliche, ma tutto è socievole, per niente aggressivo, bambini e adulti a loro agio. Una grande pacifica caciara.
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