Eilandje, o la piccola isola, è un’altra storia di successo di ex area portuale riqualificata e passato dall’oblio a quartiere alternativo e di tendenza. Oltre un secolo fa qui c’era il porto di Anversa, che poi è stato spostato più a nord. Dopo anni di abbandono, a partire dalla fine degli anni ’90 i magazzini sono diventati loft, ristoranti, club e musei. Come il MAS, inaugurato nel 2011 e dedicato alla storia di questa città portuale e al suo rapporto con il mondo. L’edificio in pietra rossa dall’India si ispira a un magazzino del XVI secolo; i piani sono impilati uno sull’altro come scatole, creando una torre a spirale con vetrate molto ampie. Salendo da uno all’altro, sono nove in tutto più la terrazza panoramica, la vista cambia continuamente. La torre è coperta con 3000 mani in alluminio che scintillano al sole, un riferimento all’origine del nome della città, “gettare la mano”. Dall’alto si ammira il teschio, un mosaico realizzato da Luc Tuymans sul piazzale, un omaggio a Quinten Metsys, artista vissuto tra XV e XVI secolo e fondatore dell’associazione dei pittori.
Dal contemporaneo a una residenza storica: la casa che Rubens comprò nel 1610 e che ingrandì per farla assomigliare a un palazzo italiano, aggiungendo una galleria, uno studio, un portico con un arco trionfale e un giardino. La residenza ospitava anche la sua collezione di opere d’arte ed era di uno splendore senza eguali all’epoca. Qui Rubens visse e lavorò fino alla morte nel 1640, qui nacquero i suoi figli e nello studio realizzò gran parte delle sue opere. Ad Anversa ce ne sono una cinquantina, spesso nel luogo originale al quale erano destinati. Nella cattedrale, ad esempio, ci sono le tavole monumentali.
Poi c’è il Museo Mayer van den Bergh, che raccoglie le opere comprate nel corso della sua vita dal collezionista d’arte Fritz Mayer van den Bergh. Nel 1901 alla sua morte, la madre costruì una casa neogotica nel quartiere finanziario e ne fece un museo per un migliaio di pezzi in gran parte di arte gotica e rinascimentale del nord Europa, tra cui opere di Pieter Bruegel il Vecchio.
Ci si muove tra pezzi grossi della storia dell’arte, si passa da un capolavoro all’altro schivando la sindrome di Stendhal ogni due per tre. A volte però le emozioni più grandi scoppiano nei musei più piccoli o meno noti. Uno dei musei più sorprendenti ed emozionanti, ad esempio, è quello della Pasticceria e della Cereria a Tolosa (Gipuzkoa): un’esposizione che racconta come dalla notte dei tempi l’essere umano abbia pensato non solo alla sopravvivenza, ma anche a come addolcirla e illuminarla. Musei etnografici le cui opere d’arte sono strumenti, utensili e ciò che con essi si produce con una dedizione e passione commoventi.
Ad Anversa c’è un museo patrimonio universale dell’Unesco costituisce un pezzo fondamentale della memoria storica dell’umanità, a cui ci sentirsi ancora più affezionati oggi che la parola stampata è corrosa da quella digitale. Il museo Plantin Moretus racconta un viaggio emozionante nella storia di una famiglia di tipografi, alla scoperta di che cosa significava gestire una tipografia nel 1500 e nei secoli successivi, le autorizzazioni necessarie da parte delle autorità, i rischi che si correvano a trasgredire la censura. Ci sono 30mila volumi, gli archivi, manoscritti magnifici e esemplari della più eccellente arte tipografica europea. Quando si entra in questa casa d’epoca signorile è come se, quasi cinque secoli dopo, stesse per iniziare un normale giorno di lavoro nella tipografia. Il museo conserva le presse da stampa più antiche e fra i muri potrebbero risuonare le conversazioni tra Christoffel Plantijn e i suoi clienti, studiosi, aristocratici e artisti come lo stesso Rubens.
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