La musica mi ha regalato momenti memorabili, oltre ogni possibile aspettativa. Alla musica sono legati i giorni più felici della mia vita, che ancora mi riempiono il cuore di gioia. Ad esempio, una splendida mattinata di sole a Londra, sotto la Westway: veder scendere dal suo Mercedes Classe A Paul Simonon, Levi’s 501, Fred Perry, cappello, e vederlo scaricare le sue tele e portarle nello studio dove avrei passato tutta la mattinata a chiacchierare con lui di musica e pittura.
Oppure un pomeriggio a Cime Tempestose, la casa dei miei, nella stanza di mia sorella dove c’è il secondo telefono fisso, comprato apposta per l’occasione, con il vivavoce. Con una scheda prepagata comporre il numero di casa di Robert Wyatt e sentire la sua voce un po’ frastornata rispondere “Hello?”. Sembrava aver dimenticato l’appuntamento telefonico, perso nei suoi sogni a occhi aperti.
L’occasione era la ristampa del suo intero catalogo per la Domino Records.
Le interviste generalmente hanno uno slot ben preciso, ma la nostra chiacchierata si estese a un’ora, in cui abbiamo parlato di rabbia, dei maschi delle renne che fanno a cornate, di come rendere il mondo un luogo meno solitario, di John Constable e di William Turner, della sua passione per Cecil Taylor, della necessità di conciliare l’ordine e il caos.
“Sono solo un individuo che cerca di rendere più confortevole il suo mondo: non so se riesco a scaldare anche gli altri, ma di sicuro scaldo me stesso”, mi ha detto a un certo punto. Mi ha fatto l’elenco dei suoi eroi: nella pittura Picasso, per la musica Charlie Parker, Mingus e Duke Ellington. I suoi eroi viventi, che ammira moltissimo, invece sono Annie Whitehead, la trombonista con cui ha suonato, persona adorabile a cui è molto grato, e il sassofonista Gilad Atzmon.
Se dovessi definirlo, direi che Robert Wyatt è un comunista mistico. Chissà se ha visto il film Il Giovane Karl Marx. Nell’intervista, riportata per intero qui, a un certo punto dice: “L’incidente non è stato tragico, ma funzionale nell’aiutarmi a trovare me stesso dopo anni di vita dissennata. Io non credo a Dio e al diavolo, ma credo nel Paradiso e nell’Inferno e penso che la maggior parte delle persone li sperimenti entrambi in certi momenti della vita. I miei momenti infernali piuttosto frequenti sono sempre la diretta conseguenza del mio comportamento.
Ecco, in questa epoca di irresponsabili, Robert Wyatt si dovrebbe studiare a scuola.
(intervento scritto per una serata dedicata a Robert Wyatt organizzata da Giovanni Misuri di Friday I’m in love allo Sky Stone & Songs di Lucca)