La tempesta del cuculo
La tempesta del cuculo arriva tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, ma tutto l’anno si annida in un archivio digitale, il Dúchas, insieme all’immenso patrimonio folclorico irlandese. In perfetta calligrafia, sulle pagine scansionate di un quaderno a righe, i volontari hanno trascritto credenze e leggende raccolte tra gli studenti delle scuole. È così che Adrian Crowley ha trovato il titolo dell’album con Marry Waterson, Cuckoo Storm (One Little Indie Records). «“Ogni anno l’arrivo del cuculo è accompagnato da una leggera grandinata, a volte perfino da un po’ di neve. Alla tempesta del cuculo non si dà molta importanza”, c’era scritto. Un pensiero molto dolce che mi ha ispirato una canzone piuttosto surreale. Abbiamo pensato che fosse un buon titolo con le sue curiose risonanze e il richiamo al mondo naturale».
Nelle undici canzoni di Cuckoo Storm incombono cieli neri e temporali minacciosi, guizzano le rondini, le stelle gettano un’ombra a forma di falce, gli amanti sembrano creature marine (Lovers In The Waves); sotto l’occhio acquoso di un cielo a mosaico, un puledro si crogiola al sole (Lucky Duck For Grown Ups); un sicamoro spoglio si staglia lungo la riva di un fiume (The Trembling Cup). Ovunque c’è l’acqua, di mare o di fiume, da cui sorgono creature mitologiche come il Leviatano, o vengono ripescati corpi come quello della Belle Inconnue. Stormi di uccelli illividiscono il cielo sopra Londra (Watching The Starlings); una mela fatta cadere dal vento è raccolta e riposta in una tasca, «un peso felice per chi viaggia leggero» (Kicking Up The Dust).
Una coppia folk-dark
È facile definirli una strana coppia, Adrian e Marry, come all’epoca si disse di Nick Cave e Kylie Minogue, o di Mark Lanegan e Isobel Campbell. Crowley non viene da trascorsi rock turbolenti come l’ex cantante degli Screaming Trees; da giovane però si è nutrito di Bauhaus, Dead Can Dance, The Birthday Party, This Mortal Coil, un imprinting che ancora permea il suo approccio alla musica: «Credo di avere una sensibilità dark. Sono ancora aperto alle suggestioni musicali, ma i gruppi che ho scoperto in quella fase della mia vita hanno lasciato un segno, mi hanno stimolato quando ero particolarmente ricettivo. Amavo la cupezza di quella musica», dice il musicista irlandese che dal 1999 a oggi ha pubblicato nove dischi di ballate sobrie e solenni, con una voce baritonale alla Bill Callahan o Scott Walker.
Marry Waterson viene da tutt’altra tradizione. I Watersons sono stati un gruppo storico del folk britannico, un ensemble vocale formato dai fratelli Norma, Mike e Lal. Marry è figlia di quest’ultima. «La mia voce possiede il DNA dei Waterson, non potrei assomigliare a nessun altro. Sono stata fortunata a cantare e imparare il mestiere all’interno della mia famiglia, ho iniziato a registrare con loro a dodici anni. È stato facile entrare in questo mondo, circondata com’ero da canzoni», dice.
One Foot of Silver, One Foot of Gold è una “collaborazione” con la madre, morta ventisei anni fa: «Sento la sua presenza, le nostre voci sono simili e a volte giurerei che è lei a cantare alcuni versi, anche se sono convinta di essere io. Le sue composizioni sono lo standard di eccellenza a cui aspiro». A Marry piace anche il metodo di “rotazione delle colture creative” adottato da Joni Mitchell, per cui alterna la musica all’attività di videomaker.
Tra Dublino e lo Yorkshire
Mentre Crowley ha lasciato Galway per Dublino, lei continua a vivere nello Yorkshire, a Robin Hood’s Bay, un pittoresco villaggio di pescatori che si erge sulla spaccatura tra due ripide scogliere. Una manciata di cottage di arenaria, tetti di tegole rosse, fossili marini, antichi sentieri che si snodano tra il mare e le brughiere. «Vivo con la mia famiglia in una tipica longhouse in mezzo a un campo, con uno spaniel, dei polli, un orto e un frutteto. Il villaggio purtroppo si sta spopolando e siamo assediati dai vacanzieri: è diventato impossibile comprare casa qui».
Marry ha lavorato spesso in coppia e ha pubblicato sei album in duo. «Non suono nessuno strumento e non so leggere la musica. Le mie canzoni prendono vita mentre le canto, le parole appaiono in frasi che suggeriscono la musica. Con la melodia arriva anche il ritmo mentre registro i memo vocali. Adrian e io abbiamo scritto quattro canzoni a testa e abbiamo collaborato su tre. Lui mi ha mandato molti testi e io ho scelto quelli che mi attiravano di più, come The Leviathan. Nelle precedenti esperienze ero io a scrivere gran parte dei testi, per cui è stata una sfida comporre musica per le parole di qualcun altro. I nostri ruoli creativi erano molto fluidi ed è stato entusiasmante vedere come un’altra persona colorava il mio lavoro attraverso il suo sguardo: una deliziosa botta di dopamina che ti spinge a creare qualcosa che non potrebbe esistere al di fuori di quella relazione specifica. La disponibilità e la volontà di provare cose nuove sono alla base di una collaborazione di successo».
Un album nato da un dispaccio lanciato nell’etere
Cuckoo Storm è nato grazie a un post di Adrian, «un raro dispaccio nell’etere, un gesto spontaneo di condivisione con il mondo esterno, un pensiero positivo in un periodo difficile. Stavo facendo una passeggiata notturna, d’inverno, mentre ascoltavo il disco di Marry con David A. Jaycock. Ho postato una foto del luogo dove mi trovavo, una strada silenziosa di case sonnolente in un quartiere di Dublino, illuminata da un lampione. Ho scritto che la musica era bellissima e Marry mi ha mandato un messaggio».
Si sono incontrati di persona solo due giorni prima di entrare in studio a Bristol insieme al produttore Jim Barr. Oltre alla presenza magnetica delle loro voci e ai testi evocativi, sono gli arrangiamenti la meraviglia di questo disco: essenziali e innovativi, giocano con pochi strumenti alla volta, in varie combinazioni tra pianoforte, chitarra elettrica, mellotron di Crowley; basso elettrico e contrabbasso di Barr e musicisti che si alternano alla tromba, flicorno, sax basso, baritono e tenore, clarinetto basso, viola d’amore, violoncello. Ospite speciale, un marxophone quasi centenario che Crowley ha comprato negli USA, una specie di cetra da tavolo che «ha l’odore di un armadio di mogano».
Le canzoni di Cuckoo Storm sembrano esistere da sempre, pervase da un mondo naturale la cui immanenza pervade anche la città. Watching The Starlings descrive una casa dove Crowley alloggiava quando andava a Londra: «Aveva un piccolo cortile appartato frequentato da volpi e ghiandaie, non lontano da Hampstead Heath. Un luogo con un’atmosfera magica. Il protagonista dà istruzioni dettagliate su come raggiungerlo a una persona che sta aspettando. È il momento in cui cala la sera e in cielo volteggiano nugoli di storni, il narratore li osserva nel ritaglio di cielo visibile dalla finestra, mentre sale una quieta euforia per la consapevolezza di vivere un momento vitale, positivo, assoluto».
Consigli di lettura
Leggete libri di poesia?, chiedo a entrambi, affascinata dai loro mondi creativi. «Hell yeah!», risponde Marry. «Sul mio comodino ci sono Dylan Thomas, Major Jackson e John Clare». Adrian porta sempre con sé almeno due volumi di poesie quando viaggia: «Questa settimana ho letto i versi di Ocean Vuong e Doireann Ní Ghríofa». La reading list perfetta, aspettando la grandine, una spolverata di neve e il cuculo. Ascolta l’album qui.
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